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Facciamo il punto?

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- L’esperienza mi ha insegnato che i ferri del mestiere di cui abbisogno sono la carta, il tabacco, il cibo e un goccio di whisky.
- Bourbon, intende?
- No, non sono così pignolo. Tra lo scotch e il nulla, sceglierò lo scotch.

(Da un’intervista a Faulkner)

Ah, quanto amo William Faulkner! E non perché bevesse come una spugna, anche se ammetto che la cosa incide molto sul suo fascino da scrittore maledetto.

Mi piacciono gli scrittori con almeno un grosso problema, perché mi sembra che incarnino meglio l’idea (errata) di artista che ho in mente. È per questo motivo che è sbocciata Dissenno del Poi, e quando è nata, questa rubrica che aveva al centro il malessere, sapevo che il fraintendimento sarebbe stato dietro l’angolo. Cosa significa matto? Chi lo è? Chi può permettersi di giudicare? A noi interessava solo un comune denominatore per parlare di un profilo di ognuno di loro, come se fosse parte della loro vita come un neo, un accento.

Quello che è successo è che abbiamo provato a tracciare una linea, o meglio un arco, di scrittori e poeti noti che hanno saputo far tesoro di quel che gli altri chiamerebbero “deviazione personale” e che invece era semplicemente una parte del loro Io. E allora facciamo il punto.

Io personalmente amo le persone strane. Mi sembra che abbiano in qualche modo capito meglio qualcosa, e che se hanno una percezione amplificata del dolore l’avranno anche di quella cosa immateriale che chiamano felicità e alla quale in qualche modo tutti aspiriamo.

Abbiamo provato a parlare di persone che erano matte senza nessun motivo particolare. Originali e pittoresche da sempre ma senza saperne troppo ricondurre la causa. Parlo della Woolf e della Merini, di Campana e Zelda. E anche di coloro che sono diventate particolari per eventi che la vita ha messo loro davanti, come Silvia Plath e Emily Dickinson. Le cose sicuramente si mescolano tra loro, formano una pozione magica ed esplosiva.

Poi ci sono le droghe e l’analisi, l’alcool e la depressione, e tracciarne un quadro definito non è certo facile, meriterebbero certo un capitolo a parte. Un artista non necessariamente è tossico, e un artista tossico non necessariamente è folle ma può essere sicuramente un visionario (e quanto ci piacciono i visionari). È qui che parte la diatriba: le droghe aiutano o no la visione artistica? Ad ascoltare Capote si direbbe di sì, lui che sotto cocaina ha scritto cose molto buone, per sua stessa ammissione, proprio perché stimolavano la sua immaginazione. William S. Burroughs ha detto tutto il contrario:

Le allucinazioni indotte dalla droga e la visione artistica non si compenetrano mai. Gli allucinogeni provocano esperienze immaginarie, diciamo, ma la morfina e i suoi derivati riducono la consapevolezza dei processi interiori, dei pensieri e delle sensazioni.

Molto spesso quando si parla di scrittori, o più in generale di artisti, si parla di matti. Matti in senso reale o metaforico, in senso lato o contingente; non importa. Gli artisti sono spesso persone disturbate che da quel disturbo hanno saputo trarre materia da plasmare e gomitoli da districare; non sempre ci sono riusciti ma spesso ci hanno provato. È anche facile definirli tali perché ci sembra che se sono riusciti dove la maggior parte delle persone hanno fallito allora ecco che devono essere dei diversi.
E lo sono, fidatevi; ma di sicuro in meglio.

- Sembra che lei abbia una versione tragica della vita.
- Quale persona intelligente non ce l’ha?

(Una domanda di Grobel a Capote)

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